Migliaccio

Il migliaccio

Per rendersi conto di quanto il migliaccio faccia parte della tradizione gastronomica romagnola, è sufficiente prendere in mano “L’arte di mangiare bene” di Pellegrino Artusi, far scorre il dito lungo l’indice alfabetico e contare quante versioni propone il padre della cucina italiana: ben quattro.

Spesso, questa pietanza tradizionale vanta una nota dolce poiché, non di rado, tra i suoi ingredienti troviamo zucchero, mandorle dolci sbucciate, pinoli, canditi accanto al sangue di maiale. Ebbene sì: è quest’ultimo ingrediente a contraddistinguere il migliaccio di Romagna per antonomasia. Tuttavia, antiche ricette tramandate di generazione in generazione, giunte fino ai giorni nostri, propongono versioni salate e prive della “linfa vitale” del maiale. È il caso del migliaccio di grano arricchito dal formaggio di fossa, semplice preparazione capace di soddisfare il palato di grandi e piccini.

Ad accomunare ogni ricetta, tuttavia, è la cottura: il migliaccio, infatti, veniva cotto in quelle grandi teglie di rame rotonde, alcune delle quali si possono ancora trovare, oggi, appese nelle case rurali a scopo ornamentale.

I più arditi, possono invece provare a realizzare la ricetta originale proposta dall’Artusi che, assicura, “per la sua nobiltà, non degnerebbe di riconoscere neppur per prossimo quello di farina dolce che gironzola per le strade di Firenze”.